martedì 5 ottobre 2010

I princìpi di federalismo fiscale nella legge delega n.42/2009

Ha scritto qualche giorno fa sul Corriere della Sera Giovanni Belardelli che “molti anni fa un grande storico, Franco Venturi, definì il fascismo come il «regno della parola», appunto per il peso sempre maggiore che vi aveva acquistato la dimensione oratoria fatta di proclamazioni altisonanti e retoriche. Quella stessa definizione si applica altrettanto bene all’Italia di oggi, alla sua vita politica fatta sempre più di formule e di parole, di provvedimenti annunciati con grandi fanfare ma che poi si perdono nei meandri di Montecitorio o Palazzo Madama”.

A leggere i titoli di diversi giornali ed a sentire i leader di qualche partito politico, anche il federalismo farebbe parte, almeno allo stato dell’arte, delle “proclamazioni altisonanti e retoriche”; e, anche la legge delega sul federalismo fiscale, la legge 42/2009, che secondo alcuni “segna una tappa fondamentale nella vita istituzionale e politica dell’Italia”(1), secondo altri non sarebbe che una “scatola vuota”.

Sulla Stampa del 10/09/2010, Luca Ricolfi, che si è occupato a più riprese e con competenza del federalismo fiscale, ha continuato a parlare di “scatola vuota”. E di tanto è convinto “non tanto perché diversi decreti delegati devono ancora essere emanati, ma perché anche i decreti delegati sono impostati senza numeri, sono scatole vuote che indicano alcuni meccanismi e soggetti che dovranno attuare il federalismo, ma lasciano del tutto aperti i due punti centrali: quanto dovranno risparmiare le varie amministrazioni, quanta evasione fiscale andrà recuperata in ogni territorio. Detto brutalmente, i decreti delegati sono a loro volta più somiglianti a ulteriori leggi-delega che a norme dotate di un contenuto macroeconomico preciso e vincolante. E dal momento che la base tecnico-statistica per attuare il federalismo fiscale non esiste ancora (né potrebbe essere diversamente, perché una classe politica irresponsabile ha passato quindici anni a discutere di principi, e quasi nulla ha fatto per renderli concretamente attuabili), ci vorranno ancora almeno un paio di anni per far partire il federalismo e per cominciare a capire come esso verrà effettivamente attuato”.

In realtà qualcosa di concreto e forse anche di serio e condivisibile nella legge delega n.42/2009 c’è.


Per capire dove vi sono segnali di inversione della rotta è necessario partire da questa considerazione.

Seguiamo il Prof. Luca Antonini, Presidente della Commissione paritetica sul federalismo fiscale.

In Italia, se si escludono le pensioni e gli interessi passivi, la spesa pubblica “si riparte ormai a metà tra il comparto Stato e quello Regioni/Enti locali, ma quest’ultimo ha una responsabilità impositiva inferiore al 18%. Si è realizzata quindi una forte dissociazione della responsabilità impositiva da quella di spesa. Si è interrotto il centralismo, ma non si è creato il federalismo”.

Probabilmente proprio questa forma di deresponsabilizzazione ha creato differenze ingiustificate nei costi dei servizi.

La legge delega ritiene di superare le differenze macroscopiche nei costi dei servizi abbandonando il criterio della spesa storica ed introducendo il criterio del finanziamento al costo standard.

Infatti, all’art. 1, comma 1, così recita: “La presente legge costituisce attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, assicurando autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni e garantendo i princìpi di solidarietà e di coesione sociale, in maniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica e da garantire la loro massima responsabilizzazione e l'effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti”.

All’art. 2, comma 2, lettera f), la medesima legge impegna i futuri decreti legislativi ad essere informati a princìpi, criteri e direttive generali che tengano conto, tra l’altro, della”determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno che, valorizzando l'efficienza e l'efficacia, costituisce l'indicatore rispetto al quale comparare e valutare l'azione pubblica”.

Si può parlare di scatola vuota di fronte a criteri e direttive così precise?

Si potrà dire di essere in disaccordo nel superamento del criterio della spesa storica con l’introduzione del criterio del finanziamento dei servizi essenziali al costo standard; si potrà dire che “l'istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante” non è condivisibile; ma sarà piuttosto difficile poter difendere, a fronte di differenze gigantesche nei costi dei servizi, il criterio del finanziamento dei servizi essenziali in base alla spesa storica.

E’ sempre il Prof. Antonini a far rilevare che “in Italia ci sono differenze ingiustificate, basta leggere le relazioni regionali della Corte dei Conti: non è concepibile che una sacca per le trasfusioni costi in Calabria quattro volte di più di quanto costa in Emilia Romagna. o che una tac costi in un alcune parti del Paese 800 euro e in altre 500, o ancora che la spesa pro capite per bambino negli asili nido a Roma sia di 16000 euro e 7000 a Modena, che pure è un modello premiato a livello internazionale”.

Possono essere accettate queste differenze di costi nei servizi?

E’ di tutta evidenza che finanziando i servizi secondo il criterio della spesa storica si finanziano anche gli sprechi e le inefficienze della pubblica amministrazione.

Ma, dopo aver sottolineato le differenze macroscopiche dei costi dei servizi, dopo aver riconosciuto che è necessario invertire la rotta e che la progressiva introduzione del criterio del costo standard è sicuramente utile ad eliminare sprechi ed inefficienze, la domanda da porsi è: cosa c’entra tutto ciò con il federalismo fiscale? I principi di cui innanzi hanno a che fare con il federalismo fiscale o non sono altro che principi necessari a razionalizzare la spesa pubblica?

Relativamente a ciò Gianluigi Bizioli ha scritto: “Credo che l’espressione federalismo fiscale sia solo un’etichetta. Di fatto è una grande operazione di contenimento della spesa pubblica locale, con pochi strumenti di imposizione alle regioni”.

Ma di questo parleremo più nel dettaglio in un prossimo articolo.


Note:

1) Prof. Luca Antonini, Presidente della Commissione paritetica sul federalismo fiscale. “La prospettiva del nuovo federalismo fiscale”.


Per meglio comprendere alcuni termini utilizzati nel testo si propone parte di una legenda elaborata dal Prof. Luca Antonini, Presidente della Commissione paritetica sul federalismo fiscale, nell’elaborato richiamato nella nota.


SPESA STORICA: è il perverso meccanismo di finanziamento su cui si è basata per decenni la finanza regionale e locale italiana. Il finanziamento avviene in base a quanto si è speso l’anno precedente: più un ente ha speso, più viene finanziato, più ha risparmiato, tanto meno viene finanziato.

COSTO STANDARD: è l’antidoto al criterio di finanziamento in base alla spesa storica. Vi sono vari modi di calcolarsi, in genere coincide con la media dei costi applicati nelle realtà regionali e locali più virtuose.

LIVELLI ESSENZIALI: si tratta dei livelli dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.

PEREQUAZIONE: si tratta del meccanismo che consente alle Regioni più povere, cioè quelle con minore capacità fiscale, di ricevere risorse dallo Stato da un fondo, detto appunto “fondo perequativo”, per poter finanziare i livelli essenziali dei diritti a tutti i cittadini. Con il nuovo federalismo fiscale è garantita la trasparenza riguardo alle Regioni che prendono e a quelle che danno risorse al fondo perequativo.

avv. Mimì Pace

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